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THE ROAD TO GUANTANAMO
(THE ROAD TO GUANTANAMO)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 ottobre 2006
 
di Michael Winterbottom, con Riz Ahmed, Farhad Harun (Gran Bretagna, 2006)
 
E' la storia di quattro giovani inglesi di origine pakistana che, per festeggiare il matrimonio di un amico a Karachi, finiscono per ritrovarsi in Afghanistan ed in seguito nelle famigerate gabbie di Guantanamo: ritenuti addirittura compari di Ben Laden, trattenuti arbitrariamente per due anni lontani, sottoposti ai procedimenti infami ed allucinanti che il vincitore dell'Orso d'Oro di Berlino ha tutti i meriti di non voler lasciare alla nostra limitata immaginazione.

Assai più che nel precedente COSE DI QUESTO MONDO, dove descriveva l'emigrazione di due Afghani verso l'Inghilterra nel ventre spaventoso di un container, l'impetuoso Winterbottom (qui affiancato da Mat Whitecross) affronta i rischi del proprio sistema: fondere il realismo documentaristico, la verità “ovvia” sottolineata da tanto di interviste, fotogrammi sgranati e riprese traballanti finto-cineamatoriali ad altre di dichiarata invenzione fiction. Quale rischi? Quelli di rendere incerti i confini fra realtà e finzione: ma non sempre nel senso desiderato. Che gli avvenimenti narrati siano autentici è certo; cosi come il fatto che, andarsene da quelle parti pochi giorni dopo l'11 di settembre a rincorrere tutti gli occhi dei cicloni elencati nel film appaia perlomeno sconsiderato. Incerti di una scrittura, che gioca costantemente con la manipolazione. Cosi che lo spettatore (già confrontato all'infilata sempre meno funzionale delle vicissitudini e relative atrocità) a quella linea di confine arrischia di non più aderire; staccando la spina della propria identificazione.

Fortunatamente la realtà finisce per annullare la finzione: proprio mentre il film passava a Berlino, la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, riservandosi di incriminare ufficiali e soldati responsabili delle atrocità, intimava a Bush di chiudere immediatamente il lager; trasferendo nel territorio metropolitano per sottoporli a regolare processo i 750 prigionieri che ancora vivevano dietro le sbarre.

Aldilà dei propri pregi e difetti il film finisce comunque per avere il merito di trascrivere in immagini la clamorosa evidenza della tragicomica frase di Donald Rumsfeld (“Stiamo rispettando in massima parte la Convenzione di Ginevra sui Diritti Umani”). Oltre a quello, incommensurabile, di farci riflettere sulla barbarie ancora in atto in un'epoca che riteniamo di progresso.


   Il film in Internet (Google)

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